Visualizzazioni totali

martedì 27 agosto 2013

Colli e Hölderlin

Hölderlin è il personaggio, del mondo moderno, che Colli ammira più di tutti gli altri, ed è a lui che egli consegna la palma della grandezza. Colli manifesta verso di lui una lode così incondizionata da far sembrare tiepida finanche l’ammirazione per Nietzsche. La ragione è quella che per Colli più vale: “Hölderlin… è l’unico ad aver realizzato la grecità”. In lui, Colli nota qualcosa che lo differenzia in modo sostanziale dagli altri “restauratori della Grecia” (Nietzsche compreso): “il parlare come i greci è qualcosa di più che parlare sui greci” (PEAC 98). In Hölderlin dunque si scopre la Grecia antica, le sue creazioni poetiche ne costituiscono un’interpretazione, più autentica di quella di Nietzsche (DN 148; RE fr.81). A questa realizzazione il poeta è giunto grazie alla qualità della sua natura, prescindendo dal classicismo tedesco e dalla filologia. L’eccellenza di Hölderlin rispetto a Nietzsche viene sottolineata da Colli anche sul piano della creazione artistica, mettendo a confronto le loro espressioni più alte, lo Zarathustra e l’Empedocle, rispetto al modello antico. A Colli risulta che nello “Zarathustra ... la forma è tutto fuorché greca (barocca, biblica, orientale ecc.)”, mentre “Hölderlin realizza la forma greca, ed è l'unico a riuscire in questo nel mondo moderno, Hölderlin – prosegue Colli – scrive come Omero, Pindaro, Empedocle, Platone…”. E la ragione di questa rinascita del verso greco in Hölderlin non risiede nella riuscita imitazione ma in qualcosa di ben più profondo: egli “sente quello che sentirono costoro e riesce ad esprimerlo” (RE fr.81). Ciò tuttavia non denota la mancanza di grecità in Nietzsche, ma soltanto un'indole greca più genuina in Hölderlin che si riflette anche nello stile: “questa tragedia incompiuta di Hölderlin è una creazione di natura musicale, esprime in modo immediato, senza nessi coscienti, un'interiorità” (PEAC 101). I termini usati qui sono gli stessi che Colli adoperò per accennare ai momenti culminanti dello Zarathustra (cfr. SN 109-116, 117-123); ma il sentimento del divino in Hölderlin è più intenso (DN 148), probabilmente per questo il suo Empedocle non si presenta attraverso un linguaggio diluito di figure e abbondante di gesti drammatici e caricati (barocchi). Nella forma dunque Hölderlin ha “divinato la poesia greca”, e quanto al contenuto riesce meglio di Nietzsche a cogliere la grandezza. Il personaggio di Zarathustra, confrontato al suo Empedocle, appare a Colli ancora troppo umano e inquinato da vizi moderni (solitudine). Il concetto di grandezza si ripropone qui, ma in una più alta concezione. La nota introduttiva alla tragedia di Hölderlin è l'occasione migliore che si presenta a Colli per illustrare ciò in modo adeguato. Egli nota anzitutto che il dramma non verte sul conflitto di passioni tra persone, o sul conflitto tra un individuo e una situazione oggettiva, bensì sull'incompatibilità di natura, umana e divina, che convergono nello stesso individuo. L'azione del dramma ha un esito tragico: fatalmente il dio si afferma nell'uomo e sull'uomo, e se in un primo tempo il contatto con il divino costituisce il trionfo espressivo del sapiente, l'eccesso di interiorità finisce per dilatarsi in maniera incontenibile, fino a spezzare l'esistenza corporea. Empedocle sceglie la morte, ma non per pessimismo, bensì per una sovrabbondanza di vita, ché sente inadeguata l’esistenza individuale e brama un ritorno alla radice di tutte le cose, agli dèi. Dice infatti Empedocle: “… bramando di giungere alla loro propria stirpe” (31B110,9 DK; trad. Colli in Lezioni E 127). Nella figura di Empedocle si assiste al trionfo del divino nell'uomo, in lui si raccolgono le molteplici forme del dio: filosofia e poesia, capacità retorica e profetica, dominio sulla natura e conoscenza estatica, scienza fisica e medica, potenza religiosa e politica (PEAC 101-103). La scelta di Hölderlin cade dunque su un greco: in esso egli scorge l'esempio più alto che l'individualità umana abbia raggiunto: “sacro tu mi sei" (Poesie 35). Ma questa grandezza, quel dio nell'uomo, egli può evocarla poeticamente solo perché la stessa pienezza di vita gli appartiene. Dice Colli: "A Hölderlin tocca un analogo destino tragico ... egli valica solitario le soglie della divina follia, dove l'ha condotto una troppo densa e inumana vita interiore” (PEAC 99). L'inevitabile estraneità dell'uomo superiore nel mondo moderno, ha nel destino tragico e nella disperata solitudine di Hölderlin l'esempio più tipico (PEAC 98; RE fr.81; DN 147). Così come Nietzsche, Schopenhauer, Beethoven, Kleist, Schumann (cfr. RE fr.114). L'indifferenza verso costoro testimonia a Colli l'estraneità della grandezza nel mondo moderno, ma nel caso di Hölderlin la questione gli appare più sconcertante, in quanto il fatto avvenne in un'epoca che pullulava di grandi “estimatori degli alti sentimenti”. Sono noti difatti i contatti di Hölderlin con Kant, Fichte, Goethe, Hegel, Schiller, Schelling, ma costoro, commenta Colli, “non subirono nessuna scossa dall'intensità della sua vita, nessun turbamento dal suo sguardo .. Tale fu il classicismo di Weimar: non riconoscere un Greco in carne e ossa” (DN 148). Non deve meravigliare il fatto che Colli adopera gli stessi argomenti che scaturiscono dall'Empedocle di Hölderlin per caratterizzare l'Empedocle storico (cfr. PHK 157-160), poiché la tragedia di Hölderlin è una “interpretazione autentica”, non semplicemente una creazione artistica. Non deve neppure meravigliare l'assenza di critiche verso di lui: Colli tratta Hölderlin come se fosse un presocratico. In un aforisma di DN, che ha per argomento l'estasi, egli lo cita senza nominarlo: “come dice il poeta” (DN 170).
I versi (citati anche in RE fr. 81) sono i primi dell'inno intitolato Patmos: “Vicino / e arduo a cogliersi è il dio”. Attraverso questi versi si potrebbe illustrare adeguatamente la dottrina del Nostro: il dio o l'immediatezza è vicina in quanto è in noi, ma ardua a cogliersi per l'istantaneità e non dominabilità del contatto metafisico.
Abbiamo visto fin qui come secondo Colli si concentrino in Hölderlin tutte quelle qualità che formano la grandezza. Ora però diamo qualche esempio concreto. Nell'ode sulla Vocazione del poeta affiorano i temi dell'arte come espressione dell'immediato e non come imitazione della realtà e la dottrina dell'attimo: "Ma non la sorte dell'uomo o le sue cure / Dentro la casa o sotto aperto cielo, / Anche se delle fiere più nobilmente / Sa nutrirsi e difendersi! Altro importa, / Altro è l'ufficio e l'ansia dei poeti: / E' all'Altissimo che apparteniamo, / Perché più accosto all'intimo sentire / Ci sia e amico in sempre nuovo cantico. /... / Il Genio creatore all'improvviso, / Su noi piombò divino, e ne restammo / Stupiti e muti, e come dalla folgore / Colpite ci tremarono le ossa" ( Poesie 93). L'attimo è paragonato alla folgore: diventa qui comprensibile quel frammento di Eraclito citato da Colli come enunciazione generale per la dottrina dell'attimo (DN 68): "Ogni cosa governa la folgore" (SG III 83). Ancora dell'attimo parla questo verso dell'ode intitolata Heidelberg: "Come mandato da dèi, una volta mi avvinse un incanto" (Poesie 49). Sulla infrazione del principio di individuazione, come condizione dell'estasi, ecco un passo illuminante dall'Iperione: "Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia" (Iperione 29) Di contro la povertà della riflessione: "un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette ... quando l'estasi si è dileguata" (id. 30). Il contatto col divino, con la natura, si apre immediatamente ad ognuno: "...cauto sfiora, sempre conscio della misura / Le dimore degli uomini per un attimo solo / Un dio improvviso, e niuno sa che sia". Anche se, dice ancora il poeta: "Troppo è arduo afferrarlo" (Poesie 173), tuttavia "Solo provandolo a fondo lo si afferra" (Poesie 179). La concezione del mondo, della vita, come espressione dell'immediatezza, del divino, si legge in questi versi: "Solo a periodi l'uomo sostiene pienezza divina. / Sogno di loro è, dopo, la vita"(Poesie 133). L'attimo dunque è la gioia, il resto della vita è scadimento, dolore dell'individuazione: "Ma a noi non è dato / In luogo nessuno posare, / Dileguano, cadono, / Soffrendo gli uomini / Alla cieca, da una / Ora nell'altra, / Come acqua da scoglio / A scoglio gettata / Per anni nell'incerto giù” (Poesie 37-39). Ciò che può liberare è la memoria: "Ma da tutti i travagli della vita / Nel sacro ricordare il cuore riposa"(Poesie 63); essa è sacra perché evoca la vita perduta, cioè "restituisce al cuore tutto ciò che gli ha preso" (Scritti 90). Il ricordo segna l'allontanamento dal presente, il distacco: "Compresi il silenzio dell'etere, / Le parole degli uomini non le ho comprese mai / ... / In braccio agli dèi sono cresciuto" (Poesie 33). Ma la vita divina è un insondabile e inoltre difficile a dirsi: "Enigma è il puro scaturire. Anche / Il canto può appena svelare" (Poesie 197). Tutte queste citazioni documentano implicitamente la poetica di Hölderlin. Il suo sfondo è tanto greco quanto quello della dottrina di Colli. Non ci resta che ricordare gli unici due esempi che lo stesso Colli ci dà dopo aver detto che "Hölderlin scrive come Omero, Pindaro, Empedocle, Platone" (RE fr.81). Il primo, l'abbiamo già ricordato (i versi di Patmos); il secondo, sono i versi 8-9 della poesia intitolata Metà della vita che Colli stesso traduce (in RE fr.763): "Ahimé, dove prenderò / - se è inverno i fiori, e dove / ...". Il primo esempio ha una indubbia matrice empedoclea (cfr. 31B133 DK); quanto al secondo, più che evocare qualche personaggio, sembra scritto per ricordare una qualche risonanza emozionale. Altrove (PEAC 99) Colli ci informa che quasi tutte le creazioni poetiche di Hölderlin hanno per argomento la Grecia. Ma con ciò Colli non vuole parlare, come spesso altri fanno, della fuga romantica verso un mitico passato. Anche in Germania Iperione sente la Natura (Iperione 175); non importano le epoche storiche, poiché il divino, l'immediato, si può cogliere in ogni tempo: esso è imperituro. Hölderlin fugge la realtà storica, l'umanità, perché essa vive senza il divino. Gli dèi si sono dileguati (cfr. RE 783), ma lui ha saputo riafferrarli. La nostalgia di Hölderlin è per un'epoca in cui visse la grandezza e per la vita di grandi uomini, verso i quali egli si sente affine, ma non è un'espediente poetico, un abbandono o un fantasticare. Lo struggimento è quello di un uomo che non ha avuto la occasione di dialogare nel suo tempo con grandi anime. Egli, "giovanilmente folle", ha avuto la conferma alla sua "pura gioia" dalla grecità, e non dalla cultura della sua epoca (cfr. Iperione 29-30). Il "sentimento bello, sacro, divino" che Hölderlin scopre in se stesso è lontano 6000 piedi dal sentimento cosiddetto romantico. Non è dunque l'ideale romantico ad essere trasferito nella antichità, come qualcuno potrebbe invece sostenere, ma l'antichità in un uomo che visse nell'epoca del Romanticismo. Quanto Hölderlin fosse uno straniero in quel mondo culturale, che vagheggiava la Grecia, lo abbiamo già detto. E la ragione di ciò è ancora Colli ad offrircela: "Hölderlin ... non aspira a diventare un greco, ma ha miracolosamente preservato in sé la natura greca" (PEAC 98-99). Con la ricchezza dei versi e della prosa di Hölderlin è possibile documentare, in rapporto a Colli, altre cose, come per esempio l'assimilazione della filosofia alla poesia. Dice infatti il poeta: "L'uomo ... che, durante tutta la sua vita, non ha sentito in sé, almeno una sola volta, la piena, pura bellezza ... , che mai ebbe a provare come, nell'ora dell'entusiasmo, tutto ritrovi un'intima armonia, quell'uomo non diventerà mai un filosofo" (Iperione 101). Il precetto di Hölderlin vuole condurre la vitalità della poesia nella filosofia. Egli sa che "tutta l'attività dell'intelletto è opera di necessità", ma sa altrettanto bene che l'uso puro della ragione, senza che in essa risplenda il divino, non è un uso sano, intelligente (Iperione 103). Poesia e filosofia hanno la medesima radice, il divino. Questo pensiero accomuna Hölderlin a Colli e costoro ai Greci.


Iperione o l'eremita in Grecia, a cura di G:V: Amoretti, Milano 1981.
Poesie, a cura di G. Vigolo, Milano 1982.
Scritti sulla poesia e frammenti, trad. G. Pasquinelli, Torino 1958 (EAC).

Nessun commento:

Posta un commento