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lunedì 19 agosto 2013

Colli come educatore

Capitolo III  LA RAGIONE NELLA STORIA


35. Il pathos che coglie «un'interiorità nascosta dietro un'apparenza sensibile» (PHK 12) testimonia la vera attitudine filosofica. Questa realtà nascosta sfugge invece a chi crede nella realtà immediata delle cose (RE 240). In Colli si riafferma l'intuizione fondamentale della sapienza: tutta la molteplicità nella sua apparente realtà è intesa come «un intreccio di enigmi» da svelare, oppure come un «labirinto», da percorrere nei suoi meandri, per cercare quel «filo conduttore» che si sente in fondo alle cose (FE 236; RE 785). Questa intuizione permette a Colli di formulare esattamente il punto di vista dell'indagine filosofica. Dato che la conoscenza non è altro che un ricordo la cui origine è nel passato, si addice al filosofo rifiutare il presente come realtà e intendere i pensieri e la ragione come «travestimenti da smascherare» (DN 63). La ragione diventa dunque il luogo dove occorre svolgere la propria azione di filosofo. Indifferente al tempo, senza cedere all' «irrequietezza dell'agire individuale», Colli indugia sulla natura della ragione poiché in essa scorge «un'espressione mediata di tutto ciò che è primitivo e originario» (RE 189).

36. Per Colli c'è un pensiero di fronte al quale «tutto il resto della filosofia moderna viene abbassato a ipocrisia»: il riconoscimento dell'animalità come essenza dell'uomo (DN 103). E' il pensiero della grande filosofia, quella indiana e quella greca antica. La sua rinascita nell'epoca moderna si deve al genio di Schopenhauer, il quale ha saputo salvarsi, andando "controcorrente", e condurre una ricerca seria, dopo Kant, in un' epoca segnata dal totale disordine razionale. Mentre la ricerca filosofica perde la sua purezza, con la «sofistica deteriore» di Fichte, Hegel, Schelling (DN 54), Schopenhauer rimane «l'ultimo possessore di una ragione sana, di una ragione che sta con la sua origine metafisica - la volontà - in un rapporto ben definito, costante e armonico» (PEAC 127; RE 125).

37. Colli riprende la lezione schopenhaueriana, sottolineando che un rapporto necessario, gerarchico tra natura e ragione è rappresentativo di una civiltà matura. La supremazia della natura sulla ragione è alla base della sua struttura. La cultura mostra i segni dell'intelligenza quando l'arte, la filosofia, la religione esprimono con i loro mezzi l'intima natura delle cose (RE 125). Ma la cultura ha dimenticato questo suo compito (RE 112), e il grande pensiero di Schopenhauer ha su bìto l' accusa di irrazionalismo. Ha fatto fortuna il modo opposto di intendere la cultura, la vita e la conoscenza umana, quello di Hegel. Colli non può fare a meno di prendere una posizione in questa battaglia, dato che «la posta in gioco è vitale» (PEAC 118), e in onore a Schopenhauer lotta contro la logica di Hegel, mettendo in luce il carattere sofistico e manipolatorio di questa presunta «ragione» (FE 225).
Hegel è il personaggio più rappresentativo per una critica contro la ragione che tenta nuove strutture staccandosi dall' immediatezza (RE 408). Colli conosce l'enorme influenza esercitata da Hegel sulla cultura moderna, tuttavia non teme di considerarlo come il vero «legislatore del nichilismo», dopo aver confutato la sua confutazione dei principi aristotelici di contraddizione e del terzo escluso. In breve, Colli dimostra che una «ragione» che contesta quei principi non può sviluppare definizioni e discorsi di qualche valore: ogni pensiero di Hegel, negando una «qualsiasi» necessità nel discorso, è la «codificazione dell'arbitrario e dell'inconsistenza nichilistica» (RE 212). Non convince poi sapere che la «ragione» hegeliana è soltanto un momento di uno sviluppo, che è in divenire, poiché accettando come valido questo tipo di dialettica, risulterà che la ragione coincide con la vita, ma allora, conclude Colli, «sarà meglio vivere la vita - che è più in divenire della ragione - che pensarla hegelianamente» (DN 54; RE 220, 408).

38. Quando Colli ha cercato di imporre all'attenzione della cultura italiana il pensiero di Schopenhauer, le sue iniziative sono state ostacolate o ignorate. Dopo le sonanti accuse sulla cultura delle Università, i «professori di filosofia» evitano accuratamente di cimentarsi con Schopenhauer, per ciò l'ora di questo grande filosofo non verrà tanto presto. Ma la vera «fortuna» di Schopenhauer si deve misurare nella risonanza che la sua dottrina ha in quella di Colli.

39. Il pensiero di Schopenhauer è talmente decisivo che Nietzsche per Colli è un grande filosofo nella misura in cui si rivela l'unico esegeta e divulgatore di esso (DN 103; RE 111, 124). Entrambi sono «le ultime tempre filosofiche», gli unici filosofi che non usurpino questo nome (RE 92; PEAC 140; DN 32). La sapienza indiana e quella greca sono evocate nei loro scritti (DN 103).
Anche il pensiero di Nietzsche è stato siglato come irrazionale e nichilistico. Ma Colli, da vero discepolo, è sempre pronto a lottare per difendere la posizione del maestro. Negli ultimi cento anni, egli dice, Nietzsche è l'unico a presentarsi come razionale: «lui va alla ricerca del permanente nel mutevole, subordina il mutevole al permanente - «eterno ritorno delle cose uguali» - tenta di stabilire le grandi gerarchie che discendono dalla 'natura' umana». I più irrazionali invece sono «coloro che prediligono i concetti e i contenuti dinamici, gli illuministi, gli storicisti, gli hegeliani» (DN 64). Colli individua il limite della loro prospettiva: essi guardano alla fenomenologia, all'apparenza, piuttosto che alle condizioni permanenti (RE 104). 






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