40.
Ponendo l'immediatezza dionisiaca «all'inizio del tessuto della
logica» (RE 332), Colli ribadisce il pensiero della grande
filosofia: non è la ragione che rende l'uomo superiore agli
altri animali; la ragione non ha autonomia, è soltanto la
ripercussione, la manifestazione di un maggiore intensità
vitale che l'uomo possiede rispetto agli altri animali (DN 49 - 50).
Ma la sua parola si fa veramente foriera di tempesta quando aggiunge
che «l'uomo più alto non è quello che annulla
tutto il resto per essere soltanto ragione» (RE 111). Qui Colli
vuole contrastare la supremazia della ragione considerando l'uomo
sotto l'aspetto universale della vita. Egli valuta i due poli su cui
si regge l'organismo umano, la ragione e l'istinto, e afferma: «la
risoluzione
più alta di quella polarità si raggiunge quando l'uomo
è in grado di sviluppare la propria razionalità come
espressione, ultima manifestazione del proprio istinto». Se
all'opposto si «confonde inestricabilmente istinto e ragione»,
cioè la ragione subordina a sé l'istinto, invece di
esprimerlo, allora l'uomo è destinato «a una
degenerazione senza salvezza». Queste considerazioni seguono
una frase che sconvolge per il suo drammatico ammonimento,
soprattutto perché scritta da un vero filosofo: «la
razionalità divenuta istinto porta allo sfacelo biologico»
(DN 52).
41.
Lo sviluppo tecno-scientifico nel mondo moderno dimostra però
che la ragione è sempre più rivolta all'utile, è
posta cioè al servizio degli istinti vitali dell'uomo. I tempi
moderni sono propizi alla rinascita della cultura? Ci sono delle
situazioni favorevoli, tuttavia è altrettanto vero che «non
c'è mai stata epoca tanto lontana dalla grande filosofia»
(RE 112). Con poche parole e senza riferirsi direttamente
all'attualità, Colli ci offre la possibilità di
comprendere il problema: la ragione, dice, può affermarsi,
irrobustirsi ed estendersi nella discussione
di più individui, ma quando la sfera dell'azione (commercio,
guerra ecc.) assorbe totalmente l'uomo da impedirgli di «prendere
gusto a una discussione che sia fine a se stessa» (RE 188),
allora la ragione non fiorisce; oppure fiorisce in modo artificioso e
senza libertà, quando la razionalità
dell'individuo viene condizionata da certi «meccanismi
dominanti dell'argomentare» (RE 543), che guidano la ragione
verso forme astratte già cristallizzate o percorsi già
battuti e tolgono ad essa la «capacità di scandagliare
le proprie radici» (RE 188).
La
ragione non è soltanto uno strumento, è anche
un'espressione mediata di tutto ciò che è primitivo e
originario. Soddisfatti i fini biologici dell'organismo,
l'uomo ha ancora il «potere della conoscenza», che può
adoperare senza scopo. Tuttavia questa attività non
finalistica può essere pericolosa, poiché c'è il
rischio di procedere nell'astrazione a tal punto da dimenticare e non
riconoscere più l'origine. E poiché da una
«sopravvalutazione del conoscere in sé» sono sorte
credenze dannose per l'uomo e per il suo agire, per Colli si impone
il bisogno di chiarire «come stanno le cose per la ragione»
(RE 204, 217) e di cercare un rimedio alla «ipertrofia del
pensiero astratto» (RE 510).
Colli
valuta i risultati a cui è giunta la critica demolitrice di
Nietzsche: «ovunque (arte, filosofia, religione) si presenta il
mito della superiorità della ragione umana, Nietzsche scopre
la corruzione e la decadenza» (RE 111). Ma Colli vuole andare
oltre l'impegno di Nietzsche e portare un attacco mortale alle
pretese ottimistiche, sistematiche della ragione: «demolire in
assoluto la ragione per la sua
intrinseca
debolezza» (DN 85). In questa situazione di «emergenza
estrema», non solo occorre «intuire
l'unica direzione che rimane da prendere» e conoscere la
«falsità delle rotte tenute sino a questo momento»,
ma nutrire anche la fiducia che abbia ancora un senso «prendere
questa decisione» (RE 203).
42. Se si vuole
recuperare l'autenticità, la direzione giusta è quella
che conduce ai sapienti. «I Greci più antichi erano
giunti a un grande risultato, alla scoperta del logos autentico»
(DN 31). Per recuperare un «uso sano della ragione» e
spiegarsi come sia potuto accadere che la ragione deviasse dalla sua
configurazione naturale di rispecchiamento astratto della vita per
presentarsi invece, dopo Platone, con certe pretese costruttive,
Colli indaga anzitutto la sua «genesi storica».
Quale
pensatore ha mai indagato in maniera profonda
l'origine e la natura del logos? Colli giunge a questo risultato
mettendo in rilievo l'aspetto teoretico che si connette alla
divinazione (SG I 27; NF 39 - 46). Il senso originale del logos è
recuperato con la magistrale ricostruzione dell'azione ostile di
Apollo. E dopo aver spiegato come la ragione nasce dall'estasi, Colli
la segue nei «tortuosi sentieri» dell'agone dialettico,
dove essa vive la sua fase più matura.
La dialettica è
stata la «culla della ragione»; molte
generazioni
di dialettici hanno elaborato un sistema della ragione articolato,
una logica non elementare; nella discussione sono forgiate le
categorie, i principi formali, i pensieri più astratti. La
valutazione di Colli si basa sulla purezza, perentorietà,
creatività, autenticità, oggettività scoperta
nel logos greco. La ragione in Grecia, spiega Colli, è sempre
congiunta alla vita fremente: il passaggio dalla sensazione al
concetto è lineare, senza spezzature; le parole sono sempre
espressioni di contatti metafisici, di ciò che si è
sperimentato nell'interiorità, per cui l'astrazione priva di
una relazione con l'immediato non prevale mai. L'oggettività è
data dall'agonismo dialettico, dove la discussione, in una pluralità
di individui d'eccezione, quali erano i Sapienti, diventa lo
strumento di una pulizia razionale: il confronto reale, vivente rende
il logos puro, in quanto vengono eliminate le scorie
dell'individuazione, depurato dal contingente, e la discussione è
sempre teoretica, poiché ha per oggetto la natura della
ragione, gli universali e i loro nessi (cfr. FE 159 - 193).
43.
Tuttavia queste conquiste teoretiche, dice Colli,
non formano un complesso costruttivo, non offrono cioè un
contenuto dottrinale e dogmatico o un insieme di proposizioni che si
impongono a tutti. Anzi, nell'impianto della discussione greca egli
nota un intento distruttivo. L'esame delle testimonianze e il
meccanismo stesso della dialettica gli confermano questa scoperta:
nella discussione quasiasi tesi veniva confutata, qualsiasi verità
veniva dimostrata come possibile e impossibile (NF 75-77). Questo
risultato, a cui giunge la dialettica nella sua fase culminante, è
chiarito da Colli con il commento alle prestazioni teoretiche di
Parmenide e Zenone di Elea. Qui la sua indagine sulla ragione nella
storia tocca il momento cruciale.
Parmenide,
spiega Colli, teme che la dialettica possa distruggere, nella mente
degli uomini immersi
nell'apparenza, la natura metafisica del mondo (NF 88). Di fronte al
dilagare del logos, anche l'immediatezza corre il rischio di essere
annientata, se
oserà assumere un nome qualsiasi (FE 192). Per salvaguardarla
Parmenide ricorre a un inganno: esprime quella natura con una parola
(essere), presa a prestito dall'apparenza, che però può
dimostrare
l'illusorietà del mondo come rappresentazione, come antitesi,
come distinzione (PHK 123-5). Posta
la suprema domanda dialettica: o è o non è, Parmenide
impone di dire «è»; alla via del «non è»
impone il divieto, è difatti impossibile. Per Colli
quest'inganno di Parmenide nasce da un atteggiamento
benevolo verso gli uomini: spazzata via la negazione, ogni
dimostrazione è soffocata, ogni dedurre è bloccato. Il
pensiero, conciliata la modalità con la qualità (cfr.
FE 183, 193), rimane incatenato alla via che dice che è, che è
la sola possibile.
44. Ma anche questa
illusione di dominare, possedere le cose attraverso l'astrazione è
annientata con violenza da Zenone (RE 200-1). Questi infrange il
divieto e sviluppa sino alle estreme conseguenze il cammino
distruttivo del non-essere (NF 90). La sua prestazione teoretica ha
una portata devastante: qualsiasi oggetto è annientato nella
sua realtà. Però nel «nichilismo teoretico»
di Zenone Colli vede una «spinta catartica». Se di fronte
alle deduzioni zenoniane «ogni credenza, ogni convinzione, ogni
razionalità costruttiva, ogni posizione scientifica risulta
illusoria e inconsistente» (NF 91), non rimane che volgere la
mente alla inviolabile natura metafisica, per possedere una
conoscenza non effimera.
45. Aver individuato
la «vita ascendente» della ragione ha permesso a Colli di
smascherare le «contraffazioni posteriori» (FE 170).
Significativo nella sua indagine è il periodo ateniese (V e IV
sec. a. C.), considerato dalla tradizione come il farsi adulto del
pensiero umano, ritenuto invece da Colli come l'inizio di un
travisamento, nei confronti della ragione, carico di conseguenze (FE
202).
In Gorgia e in
Platone egli individua gli artefici di una tendenza che sarà
fatale per il logos. Con Gorgia il primitivo linguaggio dialettico si
trasforma in retorica: usato nell'ambiente politico per soddisfare i
fini degli uomini che lottano per la potenza, il logos subisce una
prima contaminazione (NF 100-2; FE 199). La scrittura è
l'altro aspetto dell'equivoco: autore della trasformazione della
dialettica in letteratura è Platone. Colli che ha conosciuto
il «fiorire autentico della ragione» (RE 612), valuta
questi due fenomeni come una perdita di naturalezza nell'ambito del
pensiero umano.
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