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martedì 20 agosto 2013

Colli come educatore

Capitolo III


40. Ponendo l'immediatezza dionisiaca «all'inizio del tessuto della logica» (RE 332), Colli ribadisce il pensiero della grande filosofia: non è la ragione che rende l'uomo superiore agli altri animali; la ragione non ha autonomia, è soltanto la ripercussione, la manifestazione di un maggiore intensità vitale che l'uomo possiede rispetto agli altri animali (DN 49 - 50). Ma la sua parola si fa veramente foriera di tempesta quando aggiunge che «l'uomo più alto non è quello che annulla tutto il resto per essere soltanto ragione» (RE 111). Qui Colli vuole contrastare la supremazia della ragione considerando l'uomo sotto l'aspetto universale della vita. Egli valuta i due poli su cui si regge l'organismo umano, la ragione e l'istinto, e afferma: «la risoluzione più alta di quella polarità si raggiunge quando l'uomo è in grado di sviluppare la propria razionalità come espressione, ultima manifestazione del proprio istinto». Se all'opposto si «confonde inestricabilmente istinto e ragione», cioè la ragione subordina a sé l'istinto, invece di esprimerlo, allora l'uomo è destinato «a una degenerazione senza salvezza». Queste considerazioni seguono una frase che sconvolge per il suo drammatico ammonimento, soprattutto perché scritta da un vero filosofo: «la razionalità divenuta istinto porta allo sfacelo biologico» (DN 52).

41. Lo sviluppo tecno-scientifico nel mondo moderno dimostra però che la ragione è sempre più rivolta all'utile, è posta cioè al servizio degli istinti vitali dell'uomo. I tempi moderni sono propizi alla rinascita della cultura? Ci sono delle situazioni favorevoli, tuttavia è altrettanto vero che «non c'è mai stata epoca tanto lontana dalla grande filosofia» (RE 112). Con poche parole e senza riferirsi direttamente all'attualità, Colli ci offre la possibilità di comprendere il problema: la ragione, dice, può affermarsi, irrobustirsi ed estendersi nella discussione di più individui, ma quando la sfera dell'azione (commercio, guerra ecc.) assorbe totalmente l'uomo da impedirgli di «prendere gusto a una discussione che sia fine a se stessa» (RE 188), allora la ragione non fiorisce; oppure fiorisce in modo artificioso e senza libertà, quando la razionalità dell'individuo viene condizionata da certi «meccanismi dominanti dell'argomentare» (RE 543), che guidano la ragione verso forme astratte già cristallizzate o percorsi già battuti e tolgono ad essa la «capacità di scandagliare le proprie radici» (RE 188).
La ragione non è soltanto uno strumento, è anche un'espressione mediata di tutto ciò che è primitivo e originario. Soddisfatti i fini biologici dell'organismo, l'uomo ha ancora il «potere della conoscenza», che può adoperare senza scopo. Tuttavia questa attività non finalistica può essere pericolosa, poiché c'è il rischio di procedere nell'astrazione a tal punto da dimenticare e non riconoscere più l'origine. E poiché da una «sopravvalutazione del conoscere in sé» sono sorte credenze dannose per l'uomo e per il suo agire, per Colli si impone il bisogno di chiarire «come stanno le cose per la ragione» (RE 204, 217) e di cercare un rimedio alla «ipertrofia del pensiero astratto» (RE 510).
Colli valuta i risultati a cui è giunta la critica demolitrice di Nietzsche: «ovunque (arte, filosofia, religione) si presenta il mito della superiorità della ragione umana, Nietzsche scopre la corruzione e la decadenza» (RE 111). Ma Colli vuole andare oltre l'impegno di Nietzsche e portare un attacco mortale alle pretese ottimistiche, sistematiche della ragione: «demolire in assoluto la ragione per la sua
intrinseca debolezza» (DN 85). In questa situazione di «emergenza estrema», non solo occorre «intuire l'unica direzione che rimane da prendere» e conoscere la «falsità delle rotte tenute sino a questo momento», ma nutrire anche la fiducia che abbia ancora un senso «prendere questa decisione» (RE 203).

42. Se si vuole recuperare l'autenticità, la direzione giusta è quella che conduce ai sapienti. «I Greci più antichi erano giunti a un grande risultato, alla scoperta del logos autentico» (DN 31). Per recuperare un «uso sano della ragione» e spiegarsi come sia potuto accadere che la ragione deviasse dalla sua configurazione naturale di rispecchiamento astratto della vita per presentarsi invece, dopo Platone, con certe pretese costruttive, Colli indaga anzitutto la sua «genesi storica».
Quale pensatore ha mai indagato in maniera profonda l'origine e la natura del logos? Colli giunge a questo risultato mettendo in rilievo l'aspetto teoretico che si connette alla divinazione (SG I 27; NF 39 - 46). Il senso originale del logos è recuperato con la magistrale ricostruzione dell'azione ostile di Apollo. E dopo aver spiegato come la ragione nasce dall'estasi, Colli la segue nei «tortuosi sentieri» dell'agone dialettico, dove essa vive la sua fase più matura.
La dialettica è stata la «culla della ragione»; molte
generazioni di dialettici hanno elaborato un sistema della ragione articolato, una logica non elementare; nella discussione sono forgiate le categorie, i principi formali, i pensieri più astratti. La valutazione di Colli si basa sulla purezza, perentorietà, creatività, autenticità, oggettività scoperta nel logos greco. La ragione in Grecia, spiega Colli, è sempre congiunta alla vita fremente: il passaggio dalla sensazione al concetto è lineare, senza spezzature; le parole sono sempre espressioni di contatti metafisici, di ciò che si è sperimentato nell'interiorità, per cui l'astrazione priva di una relazione con l'immediato non prevale mai. L'oggettività è data dall'agonismo dialettico, dove la discussione, in una pluralità di individui d'eccezione, quali erano i Sapienti, diventa lo strumento di una pulizia razionale: il confronto reale, vivente rende il logos puro, in quanto vengono eliminate le scorie dell'individuazione, depurato dal contingente, e la discussione è sempre teoretica, poiché ha per oggetto la natura della ragione, gli universali e i loro nessi (cfr. FE 159 - 193).

43. Tuttavia queste conquiste teoretiche, dice Colli, non formano un complesso costruttivo, non offrono cioè un contenuto dottrinale e dogmatico o un insieme di proposizioni che si impongono a tutti. Anzi, nell'impianto della discussione greca egli nota un intento distruttivo. L'esame delle testimonianze e il meccanismo stesso della dialettica gli confermano questa scoperta: nella discussione quasiasi tesi veniva confutata, qualsiasi verità veniva dimostrata come possibile e impossibile (NF 75-77). Questo risultato, a cui giunge la dialettica nella sua fase culminante, è chiarito da Colli con il commento alle prestazioni teoretiche di Parmenide e Zenone di Elea. Qui la sua indagine sulla ragione nella storia tocca il momento cruciale.
Parmenide, spiega Colli, teme che la dialettica possa distruggere, nella mente degli uomini immersi nell'apparenza, la natura metafisica del mondo (NF 88). Di fronte al dilagare del logos, anche l'immediatezza corre il rischio di essere annientata, se oserà assumere un nome qualsiasi (FE 192). Per salvaguardarla Parmenide ricorre a un inganno: esprime quella natura con una parola (essere), presa a prestito dall'apparenza, che però può dimostrare l'illusorietà del mondo come rappresentazione, come antitesi, come distinzione (PHK 123-5). Posta la suprema domanda dialettica: o è o non è, Parmenide impone di dire «è»; alla via del «non è» impone il divieto, è difatti impossibile. Per Colli quest'inganno di Parmenide nasce da un atteggiamento benevolo verso gli uomini: spazzata via la negazione, ogni dimostrazione è soffocata, ogni dedurre è bloccato. Il pensiero, conciliata la modalità con la qualità (cfr. FE 183, 193), rimane incatenato alla via che dice che è, che è la sola possibile.

44. Ma anche questa illusione di dominare, possedere le cose attraverso l'astrazione è annientata con violenza da Zenone (RE 200-1). Questi infrange il divieto e sviluppa sino alle estreme conseguenze il cammino distruttivo del non-essere (NF 90). La sua prestazione teoretica ha una portata devastante: qualsiasi oggetto è annientato nella sua realtà. Però nel «nichilismo teoretico» di Zenone Colli vede una «spinta catartica». Se di fronte alle deduzioni zenoniane «ogni credenza, ogni convinzione, ogni razionalità costruttiva, ogni posizione scientifica risulta illusoria e inconsistente» (NF 91), non rimane che volgere la mente alla inviolabile natura metafisica, per possedere una conoscenza non effimera.

45. Aver individuato la «vita ascendente» della ragione ha permesso a Colli di smascherare le «contraffazioni posteriori» (FE 170). Significativo nella sua indagine è il periodo ateniese (V e IV sec. a. C.), considerato dalla tradizione come il farsi adulto del pensiero umano, ritenuto invece da Colli come l'inizio di un travisamento, nei confronti della ragione, carico di conseguenze (FE 202).
In Gorgia e in Platone egli individua gli artefici di una tendenza che sarà fatale per il logos. Con Gorgia il primitivo linguaggio dialettico si trasforma in retorica: usato nell'ambiente politico per soddisfare i fini degli uomini che lottano per la potenza, il logos subisce una prima contaminazione (NF 100-2; FE 199). La scrittura è l'altro aspetto dell'equivoco: autore della trasformazione della dialettica in letteratura è Platone. Colli che ha conosciuto il «fiorire autentico della ragione» (RE 612), valuta questi due fenomeni come una perdita di naturalezza nell'ambito del pensiero umano.

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