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mercoledì 21 agosto 2013

Colli come educatore

Capitolo III


46. Colli insiste sul secondo argomento perché la ragione, «nata fuori della scrittura e ripugnante alla scrittura, fu proprio attraverso questa che si affermò come grande evento nella storia del mondo» (FE 201). Ma la ragione consegnata al discorso scritto ha subìto una falsificazione radicale. La ragione autentica dovrebbe essere un linguaggio che esprime gli universali ripetutamente sperimentali nell'interiorità. La scrittura invece non è un' espressione in senso metafisico; inoltre estende solo illusoriamente la consistenza espressiva della parola viva; non ha la capacità di rievocare tutto ciò di cui è stata caricata, per cui l'interiorità con la scrittura si perde, e molteplici, fuorvianti diventano le interpretazioni (cfr. FE 197-201). La condanna della scrittura è soprattutto una condanna della filosofia. La scrittura fu essenziale alla sua nascita (NF 116), di fatti «da allora la filosofia è cosa scritta e fondata su cose scritte» (FE 201).

47. In Platone Colli vede uno dei principali artefici della frattura verificatasi tra sapienza e filosofia. Anche se proprio attraverso questi gli diventa possibile intuire la vitalità della sapienza e guardare con sospetto la scrittura (cfr. NF 111-13). La personalità di Platone è complessa e ambigua (PP 169), tuttavia Colli riesce a dominare tutte le sue manifestazioni. Platone, dice Colli, abbandona la discussione sul piano presocratico, per viltà o per stanchezza, rinunciando al vero cammino intravisto in gioventù (PHK237). Già questa «evoluzione» traccia «una svolta decisiva nella storia della filosofia» (PHK 215). Il risultato che ne deriva è il precoce scadimento della filosofia, che cede il primato alla politica e all'etica. Ma fra tutte le visioni del mondo (mistica, pitagorica, ascetica, politica, erotica, dialettica, moralistica) che a Platone piace di recitare, la più carica di conseguenze è quella «scientifica». La scienza, in quanto sapere staccato dalla vita (PHK 238-9), rappresenta secondo Colli la più «grande menzogna» che Platone ha ordito ai danni delle future generazioni di filosofi. Creando l'ottimismo del sapere scientifico e assoluto, Platone inaugura quella fiducia nella ragione costruttiva che caratterizzerà la filosofia moderna (FE 213-14).

48. A questo punto della sua indagine Colli può affermare che la nascita della scienza rappresenta un fatto aberrante, qualcosa che ha stravolto la prospettiva originale.
In Grecia la .ragione è posta al centro dell'interesse, sono valutate in maniera così smisurata le sue capacità che si è creata l' «illusione di poter aprire con il suo aiuto scrigni preziosi e rivelare misteri inebrianti» (FE 172). Eppure Platone con il Parmenide aveva indicato una direzione contraria alla scienza, presentando i risultati della dialettica zenoniana (FE 211-12). Tuttavia nessuno, osserva Colli, ha saputo decifrare lo scritto platonico, si è invece preferito credere alle promesse di un sapere assoluto (RE 472).

49. La scienza, spiega Colli, con la sua pretesa di validità e stabilità oggettiva rappresenta la costruttività della ragione, il logos che ha reciso ogni legame con ·le condizioni, ogni richiamo all'immediatezza.
L'azione di Colli giunge a un altro momento importante quando scopre anche in Aristotele il grande inganno principiato da Platone. Colli lotta contro questo impulso dogmatico della ragione con le stesse armi di Aristotele, riuscendo infine a smascherare il «cosciente inganno» perpetuato dallo
Stagirita (RE 465; FE 105-7). Aristotele, spiega Colli, tace il principio modale (o necessario o contingente), il nerbo della dialettica parmenidea e zenoniana (RE 419), e innalza al suo posto la legge qualitativa, sotto la forma dei due presunti principi di non contraddizione e di terzo escluso, per salvaguardare la stabilità degli oggetti, condizione di ogni scienza, e per «coprire» la vera natura, distruttiva, del logos.
Allo stesso modo si comporta quando crea la sillogistica. Qui Aristotele complica ad arte la struttura molecolare della deduzione con una considerazione quantitativa, trattando i giudizi universali come se fossero necessari e i giudizi particolari come se fossero contingenti (FE 215 e segg.). Questo smacco graverà sulle menti delle generazioni successive, ignare, tuttavia ben liete di questa «eredità» che permette di costruire sistemi e scienze (RE 192, 288).

50. Platone e Aristotele hanno dominato la filosofia e conquistato la posterità «proprio perché hanno creato l'illusione del sistema e della ragione costruttiva». In seguito, osserva Colli, quando si credette di aver scoperto «una ragione più costruttiva», costoro «caddero in disgrazia» (RE 419). La nuova «esplosione teoretica» si ha con la filosofia moderna, per l'innesto di un ulteriore moto degenerativo, che fa sorgere la scienza moderna (RE 192). Dopo quella platonica, questa è l'altra grande menzogna sottolineata da Colli per mostrare la crisi della ragione, che sarà «tragica e decisiva per i secoli seguenti» (FE 223).
La ragione non si accontenta di essere costruttiva, vuole diventare «utile» (RE 474). La critica di Colli si rivolge soprattutto al procedere intellettuale della scienza moderna, che è «pesante, arido, limitato, senza sbocchi, senza fremiti intuitivi e le ambiguità profonde che caratterizzano l'intelletto dell'antichità». Inoltre, prescindendo dall'intuizione e dalla conoscenza immediata, la scienza è priva delle condizioni del conoscere; è insomma una colossale ipotesi, che tende a «risolvere il mondo in rapporti concettuali astratti», il cui senso è quello di «fare» qualcosa di utile (RE 82).
Senza curarsi molto della filosofia medioevale e rinascimentale, che per lui è soltanto la storia delle cattive interpretazioni dei concetti platonici e aristotelici (RE 205), Colli individua il momento in cui la scienza prende un deciso sopravvento sulla filosofia (RE 222). Massimi responsabili di questa sconfitta sono Descartes e Leibniz. Con il primo la mente umana mostra «i segni di una caduta fatale». L'esempio addotto è molto eloquente: lo spazio, che per i filosofi greci è una rappresentazione, per Descartes è una realtà assoluta, al di fuori della rappresentazione. In lui la figura del filosofo perde vitalità, dignità, «impallidisce, trascolora sino ad annullarsi nello scienziato» (FE 223). Quanto a Leibniz, egli è responsabile di aver canonizzato «il fondamento della scienza moderna sull'equivoco e l'approssimazione», con il calcolo infinite si male (RE 82, 182). Sentendosi inadeguata al nuovo compito assegnatole, la filosofia cede il banco alla scienza (RE 474), ma per Colli ciò non era giusto. Per «spezzare la superbia della scienza», in quanto filosofo, Colli si concede allora una particolare «vendetta»: la confutazione del concetto matematico di limite. Questo concetto è l'esempio «di come la natura della ragione non rifugge dalla falsificazione quando è costretta e piegata nella direzione dell'utile» (FE 223-4). Data la sua applicabilità in diversi campi, il concetto di limite (presupposto del calcolo infinitesimale in Leibniz e Newton) è stato, secondo Colli, lo strumento dello scatenarsi della scienza (PEAC 67). La sua confutazione ha dunque un alto valore teoretico, poiché viene confutato altresì un falso metodo: quello che crede di poter giungere alle cause prime con l'analisi dell'infinitamente piccolo.

51. Per quanto riguarda la critica alla logica-matematica, molto eloquente è la precisazione che Colli ha voluto aggiungere alla sue osservazioni: «non meriterebbe il posto di una confutazione tra i grandi errori della ragione - se ne parla qui solo per l'importanza che si attribuisce a questa «scienza» nel nostro tempo» (RE 397). Nel pubblicare i suoi risultati, Colli limita la critica alle «idee primitive» poste da B. Russel e A.N. Whitehead a fondamento dell'intero edificio deduttivo (FE 230-33). L'attacco è rivolto al procedimento di Russel; in esso Colli individua un'aporia nelle prime proposizioni dedotte dalle definizioni di disgiunzione non esclusiva, negazione e congiunzione. Queste definizioni, dice, sono formulate in modo scorretto, dal momento che esse stesse vengono a negare quei principi (terzo escluso e non contraddizione) che invece vorrebbero dedurre. Inoltre il modo di procedere di Russel è ambiguo, in quanto quelle definizioni applicano già il terzo escluso. La conclusione di Colli è che le «idee primitive» si rivelano inadeguate a dedurre i principi aristotelici.
Questo e altri «imbrogli» giustificano il rifiuto della logica-matematica proposto da Colli (RE 310).

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