46.
Colli insiste sul secondo argomento perché la ragione, «nata
fuori della scrittura e ripugnante alla scrittura, fu proprio
attraverso questa che si affermò come grande evento nella
storia del mondo» (FE 201). Ma la ragione consegnata al
discorso scritto ha subìto una falsificazione radicale. La
ragione autentica dovrebbe essere un linguaggio che esprime gli
universali ripetutamente sperimentali nell'interiorità. La
scrittura invece non è un' espressione in senso metafisico;
inoltre estende solo illusoriamente la consistenza espressiva della
parola viva; non ha la capacità di rievocare tutto ciò
di cui è stata caricata, per cui l'interiorità con la
scrittura si perde, e molteplici, fuorvianti diventano le
interpretazioni (cfr. FE 197-201). La condanna della scrittura è
soprattutto una condanna della filosofia.
La scrittura fu essenziale alla sua nascita (NF 116), di fatti «da
allora la filosofia è cosa scritta e fondata su cose scritte»
(FE 201).
47.
In Platone Colli vede uno dei principali artefici della frattura
verificatasi tra sapienza e filosofia. Anche se proprio attraverso
questi gli diventa possibile intuire la vitalità della
sapienza e guardare con sospetto la scrittura (cfr. NF 111-13). La
personalità di Platone è complessa e ambigua (PP 169),
tuttavia Colli riesce a dominare tutte le sue manifestazioni.
Platone, dice Colli, abbandona la discussione
sul piano presocratico, per viltà o per stanchezza,
rinunciando al vero cammino intravisto in gioventù (PHK237).
Già questa «evoluzione» traccia
«una svolta decisiva nella storia della filosofia» (PHK
215). Il risultato che ne deriva è il precoce scadimento della
filosofia, che cede il primato alla politica e all'etica. Ma fra
tutte le visioni del mondo (mistica, pitagorica, ascetica, politica,
erotica, dialettica, moralistica) che a Platone piace di recitare, la
più carica di conseguenze è quella «scientifica».
La scienza, in quanto sapere staccato dalla vita (PHK 238-9),
rappresenta secondo Colli la più «grande menzogna»
che Platone ha ordito ai danni delle future generazioni di filosofi.
Creando l'ottimismo del sapere scientifico e assoluto, Platone
inaugura quella fiducia nella ragione costruttiva che caratterizzerà
la filosofia moderna (FE 213-14).
48. A questo punto
della sua indagine Colli può affermare che la nascita della
scienza rappresenta un fatto aberrante, qualcosa che ha stravolto la
prospettiva originale.
In
Grecia la .ragione è posta al centro dell'interesse, sono
valutate in maniera così smisurata le sue capacità che
si è creata l' «illusione di poter aprire con il suo
aiuto scrigni preziosi e rivelare misteri inebrianti» (FE 172).
Eppure Platone con il Parmenide
aveva
indicato una direzione contraria alla scienza, presentando i
risultati della dialettica zenoniana (FE 211-12). Tuttavia nessuno,
osserva Colli, ha saputo decifrare lo scritto platonico, si è
invece preferito credere alle promesse di un sapere assoluto (RE
472).
49. La scienza,
spiega Colli, con la sua pretesa di validità e stabilità
oggettiva rappresenta la costruttività della ragione, il logos
che ha reciso ogni legame con ·le condizioni, ogni richiamo
all'immediatezza.
L'azione
di Colli giunge a un altro momento importante quando scopre anche in
Aristotele il grande inganno principiato da Platone. Colli lotta
contro questo impulso dogmatico della ragione con le stesse armi di
Aristotele, riuscendo infine a smascherare il «cosciente
inganno» perpetuato dallo
Stagirita
(RE 465; FE 105-7). Aristotele, spiega Colli, tace il principio
modale (o necessario o contingente), il nerbo della dialettica
parmenidea e zenoniana (RE 419), e innalza al suo posto la legge
qualitativa, sotto la forma dei due presunti principi di non
contraddizione e di terzo escluso, per salvaguardare la stabilità
degli oggetti, condizione di ogni scienza, e per «coprire»
la vera natura, distruttiva, del logos.
Allo
stesso modo si comporta quando crea la sillogistica. Qui Aristotele
complica ad arte la struttura molecolare della deduzione con una
considerazione quantitativa, trattando i giudizi universali come se
fossero necessari e i giudizi particolari come se fossero contingenti
(FE 215 e segg.). Questo smacco graverà sulle menti delle
generazioni successive, ignare, tuttavia ben liete di questa
«eredità» che permette di costruire sistemi e
scienze (RE 192, 288).
50. Platone e
Aristotele hanno dominato la filosofia e conquistato la posterità
«proprio perché hanno creato l'illusione del sistema e
della ragione costruttiva». In seguito, osserva Colli, quando
si credette di aver scoperto «una ragione più
costruttiva», costoro «caddero in disgrazia» (RE
419). La nuova «esplosione teoretica» si ha con la
filosofia moderna, per l'innesto di un ulteriore moto degenerativo,
che fa sorgere la scienza moderna (RE 192). Dopo quella platonica,
questa è l'altra grande menzogna sottolineata da Colli per
mostrare la crisi della ragione, che sarà «tragica e
decisiva per i secoli seguenti» (FE 223).
La
ragione non si accontenta di essere costruttiva, vuole diventare
«utile» (RE 474). La critica di Colli si rivolge
soprattutto al procedere intellettuale della scienza moderna, che è
«pesante, arido, limitato, senza sbocchi, senza fremiti
intuitivi e le ambiguità profonde che caratterizzano
l'intelletto dell'antichità». Inoltre, prescindendo
dall'intuizione e dalla conoscenza immediata, la scienza è
priva delle condizioni del conoscere; è insomma una colossale
ipotesi, che tende a «risolvere il mondo in rapporti
concettuali astratti», il cui senso è quello di «fare»
qualcosa di utile (RE 82).
Senza
curarsi molto della filosofia medioevale e rinascimentale, che per
lui è soltanto la storia delle cattive interpretazioni dei
concetti platonici e aristotelici (RE 205), Colli individua il
momento in cui la scienza prende un deciso sopravvento sulla
filosofia (RE 222). Massimi responsabili di questa sconfitta sono
Descartes e Leibniz. Con il primo la mente umana mostra «i
segni di una caduta fatale». L'esempio addotto è molto
eloquente: lo spazio, che per i filosofi greci è una
rappresentazione, per Descartes è una realtà assoluta,
al di fuori della rappresentazione. In lui la figura del filosofo
perde vitalità, dignità, «impallidisce,
trascolora sino ad annullarsi nello scienziato» (FE 223).
Quanto a Leibniz, egli è responsabile di aver canonizzato «il
fondamento della scienza moderna sull'equivoco e
l'approssimazione»,
con
il calcolo infinite si male (RE 82, 182). Sentendosi inadeguata al
nuovo compito assegnatole,
la filosofia cede il banco alla scienza (RE 474), ma per Colli ciò
non era giusto. Per «spezzare la superbia della scienza»,
in quanto filosofo, Colli si concede allora una particolare
«vendetta»: la confutazione del concetto matematico di
limite. Questo concetto è l'esempio «di come la natura
della ragione non rifugge dalla falsificazione quando è
costretta e piegata nella direzione dell'utile» (FE 223-4).
Data la sua applicabilità in diversi campi, il concetto di
limite (presupposto del calcolo infinitesimale in Leibniz e Newton) è
stato, secondo Colli, lo strumento dello scatenarsi della scienza
(PEAC 67). La sua confutazione ha dunque un alto valore teoretico,
poiché viene confutato altresì un falso metodo: quello
che crede di poter giungere alle cause prime con l'analisi
dell'infinitamente piccolo.
51.
Per quanto riguarda la critica alla logica-matematica, molto
eloquente è la precisazione che Colli ha voluto aggiungere
alla sue osservazioni: «non meriterebbe il posto di una
confutazione tra i grandi errori della ragione - se ne parla qui solo
per l'importanza che si attribuisce a questa «scienza»
nel nostro tempo» (RE 397). Nel pubblicare i suoi risultati,
Colli limita la critica alle «idee primitive» poste da B.
Russel e A.N. Whitehead a fondamento dell'intero edificio deduttivo
(FE 230-33). L'attacco è rivolto al procedimento di Russel; in
esso Colli individua un'aporia nelle prime proposizioni dedotte dalle
definizioni di disgiunzione non esclusiva, negazione e congiunzione.
Queste definizioni, dice, sono formulate in modo scorretto, dal
momento che esse
stesse vengono a negare quei principi (terzo escluso e non
contraddizione) che invece vorrebbero dedurre. Inoltre il modo di
procedere di Russel è ambiguo, in quanto quelle definizioni
applicano già il terzo escluso. La conclusione di Colli è
che le «idee primitive» si rivelano inadeguate a dedurre
i principi aristotelici.
Questo e altri
«imbrogli» giustificano il rifiuto della
logica-matematica proposto da Colli (RE 310).
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