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giovedì 8 marzo 2012

COLLI E ZENONE DI ELEA

COLLI E ZENONE DI ELEA
Relazione letta al Convegno “Giorgio Colli e la nascita della filosofia”, in occasione della pubblicazione delle sue lezioni su Zenone di Elea (Adelphi) . La Spezia 21 novembre 1998.
Chi leggerà queste lezioni su Zenone troverà confermato che per Colli la discussione sui Sapienti non nasce dal bisogno tipico degli eruditi di allargare la saggistica storico-filologica, ma “come preludio a una dottrina autonoma” (QP fr. 56). Qui brevemente tocchiamo due temi, per sottolineare l’enorme importanza che hanno le aporie di Zenone per il pensiero teoretico di Colli. Può sembrare strano che un filosofo possa prendere qualcosa da Zenone, il campione del “nichilismo teoretico”.
Difatti come osserva Colli stesso in queste lezioni: “il fine ultimo di Zenone è quello di sviluppare una teoria totalmente negativa della ragione umana “ (ZE 147). Ma è proprio per questo che Zenone interessa a Colli. Zenone, dice Colli, ha svelato la natura distruttiva della ragione (QP fr. 319). Zenone ha infranto il divieto parmenideo, sviluppando sino alle estreme conseguenze il cammino distruttivo del non-essere (NF 90). Al di là delle aporie sul movimento e lo spazio, secondo Colli, l’argomento originale del libro di Zenone (ricordato nel Parmenide platonico) era: tutto è possibile e impossibile (QP fr. 414). Di fronte alle deduzioni zenoniane “ogni conoscenza, ogni convinzione, ogni razionalità costruttiva, ogni posizione scientifica risulta illusoria e inconsistente” (NF 91).
Anche in Colli la ragione subisce uno scacco. Con la sua legge generale della deduzione Colli dimostra che un oggetto necessario risulta impossibile. Con l’applicazione di questa legge crolla l’illusione di possedere, dominare le cose attraverso l’astrazione (cfr. QP frr. 200-1; FE 152).
Tuttavia nel nichilismo teoretico di Zenone, Colli vede una “spinta catartica” (FE 192). Sullo sfondo della prestazione distruttiva di Zenone è la metafisica di Parmenide: “il cui contenuto va cercato al di fuori della sfera razionale” (ZE 147). Distrutte tutte le opinioni umane, rimane inviolabile l’immediato: è questo l’aiuto di Zenone, o meglio l’accordo in profondità tra Parmenide e Zenone, che Colli sottolinea. Quindi la posizione di Colli, come quella di Zenone, non è nichilistica. I veri legislatori del nichilismo sono coloro che credono che la ragione abbia un valore autonomo; coloro che staccandosi dall’immediatezza costruiscono sistemi filosofici e scienze.
Colli sente l’esigenza i svelare la natura distruttiva del logos per combattere la “ipertrofia del pensiero astratto” (QP fr. 510), dato che “la tracotanza costruttiva della ragione è responsabile della decadenza” (QP fr. 8). E sente pure l’esigenza di ridare al logos la sua originaria funzione espressiva in senso metafisico (cfr. FE 183). Per questi motivi Colli ha inteso la sua legge generale della deduzione come un “punto di svolta” (QP fr. 505), un’inversione di rotta, per portare fuori dal pericolo la razionalità dell’uomo. Quindi bisognerà comprendere che “la distruzione della ragione è una ricostituzione della salute dell’uomo” (QP fr. 143) – per cui veder dimostrato, grazie a Colli, che ogni conoscenza si rivela inconsistente quando si dimentica il sostegno metafisico (il riferimento all’immediato) ha una portata liberatoria.
Rimane da risolvere però una questione cruciale: come dimostrare l’immediato. L’immediatezza in quanto elemento metafisico non è rintracciabile nel tessuto rappresentativo, si pone per Colli il problema di come dimostrare il contrario a coloro che credono “che questo mondo non lasci nulla al di fuori” (FE 50). Come è possibile dimostrare qualcosa che è fuori dell’apparenza?
Anzitutto, testimoniare semplicemente l’irrappresentabile con l’aiuto della memoria che conserva qualcosa di “eterogeneo rispetto al ricordo” (FE 36), non mette al riparo la dottrina da eventuali attacchi. Anche la rappresentazione considerata sostanzialmente come espressione di ciò che è nascosto è una quantità continua, attraverso la divisibilità all’infinito rischia di dissolversi, zenonianamente, nel nulla. E allora, come riesce Colli a sanare questo contrasto che si manifesta nella ragione umana? Con la teoria del contatto metafisico.
(La designazione dell’immediato come “contatto”, dice Colli, è suggerita “dalla generica prospettiva della conoscenza come relazione tra soggetto e oggetto” (FE 39). Il termine contatto si impone anche per la sua intuitività, permette cioè di accennare allo stato in cui soggetto e oggetto non si distinguono). Questa teoria è strettamente connessa al concetto di continuo, che è l’attributo essenziale della categoria della quantità, che è , guarda caso, il tema di fondo di tutte le aporie zenoniane (cfr. ZE 102).
In un prezioso frammento dei Quaderni postumi di Colli troviamo scritto: “la radice dell’irrazionale, dell’inesprimibile, è nella quantità, come seppe e dimostrò Zenone” (QP fr. 271). All’irrappresentabile si giunge dunque con l’analisi della rappresentazione. Difatti la relazione soggetto-oggetto rimanda al suo principio, alla sua causa. Ma il principio della rappresentazione non può appartenere al continuo, non può essere individuato nel tessuto rappresentativo. Per trovare il principio della rappresentazione bisognerebbe trovare un punto indivisibile. Ma il contatto metafisico non può essere un punto. Se l’irrappresentabile si potesse definire in un punto esso apparterrebbe alla rappresentazione, ma il punto non esiste, perché ogni quantità è divisibile. D’altra parte è impossibile inserire un punto indivisibile nel continuo. La condizione della rappresentazione deve essere dunque cercata fuori di essa. Pertanto dice Colli non rimane che pensare al contatto come a un “vuoto rappresentativo”, a un “interstizio metafisico” che si apre “con il taglio di una linea retta che è una rappresentazione” (FE 41).
Kant, appellandosi al principio della continuità, aveva stabilito che nell’esperienza non può intervenire niente che dimostri il vuoto (KC 247-8; 301). Ma Colli ribatte che “per definizione il continuo può essere tagliato, e allora come si potrà evitare che la divisione cada tra due segmenti [soggetto e oggetto], i quali sono in contatto nel senso limitato che tra essi non c’è nulla?” (FE 42). Attraverso un’aporia Colli è riuscito a definire il contatto nel continuum temporale: e in effetti il contatto, testimoniato dalla memoria nella forma espressiva dell’attimo, è proprio quel qualcosa di non dominabile dalla rappresentazione che ne mette a repentaglio la continuità. Del resto, ci dice Colli, osserviamo come si comportano le scienze: la geometria e la matematica utilizzano gli elementi primi, il punto e l’unità, “come se fossero omogenei rispetto ai termini” del genere a cui appartengono (QP fr. 416), ma essi non sono tali e quindi a rigore non dovrebbero essere inseriti in una trattazione razionale. D’altra parte queste scienze non possono prescindere da questi elementi, perciò li utilizzano come se appartenessero al genere dell’estensione e del numero. Del punto “i matematici moderni evitano la definizione”, oppure lo “riconducono al concetto di limite”. Questo atteggiamento, secondo Colli, è la chiara “confessione della sua trascendenza, poiché il limite è appunto un inattingibile” (QP fr. 378). Dal momento che non appartiene al genere dell’estensione, il punto geometrico deve essere considerato come un “simbolo” di un’immediatezza che non può essere realizzata nel campo delle espressioni spaziali. Il punto dunque è “un elemento metafisico trascendente” (QP fr. 476), allo stesso modo del contatto.
Ciò che vale per la rappresentazione vista “sotto il profilo della forma pura dello spazio”, vale anche per la rappresentazione in generale, la quale necessita di un cominciamento, di un immediato come sua condizione. E quest’ultima, se vuole essere una vera condizione, non può soggiacere alle continue “fluttuazioni del rapporto soggetto-oggetto”, ma deve essere posta al di fuori della rappresentazione.
Per concludere, Colli e Zenone hanno combattuto la stessa battaglia per difendere l’irrappresentabile, hanno lottato contro quei tentativi “che sono stati compiuti allo scopo di dominare razionalmente la quantità continua” (FE 41). Zenone prima ancora che Democrito pensasse l’atomo indivisibile e prima ancora che Aristotele ed Euclide pensassero il punto geometrico, ne aveva dimostrato l’assurdità. Colli fa lo stesso dimostrando che la definizione del concetto matematico di limite è scorretta e contraddittoria. Entrambi dimostrano che gli argomenti razionali sono più favorevoli alla metafisica che alla possibilità della scienza.
(E dire che la filosofia moderna vuole convincerci del contrario!)
La Spezia, novembre 1998

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