Visualizzazioni totali

giovedì 6 dicembre 2012

Colli come educatore

Capitolo II

23. Con l'editoria Colli non vuole raccogliere schiere di lettori. Di lui si può dire ciò che disse Nietzsche a proposito di Eraclito: «il suo agire non si rivolge mai a un «pubblico», all'applauso delle masse e al coro osannante dei contemporanei» (PHG 304). L'EAC è un mezzo adeguato, un'astuzia «per fare un cenno alla natura di buon metallo e tenere distante quella volgare» (DN 172); una maschera, con cui incuriosire, per raccogliere intorno a sé pochi discepoli. Per lui, che pensa ai sodalizi esoterici dell'epoca sapienziale, quello che conta è «agire su certi uomini» (RE 93). Colli si rivolge agli individui non-finalistici, a coloro che sanno trarre pensieri da se stessi e pensano senza finalità, che esprimono una natura antipolitica e antieconomica, a coloro che comunicano e mantengono vive le espressioni della vita. A questi pochi Colli si rivolge per educarli a non sottomettersi, ma a serrarsi in una «società cultura­le» staccata e autonoma dallo Stato (RE 87), in cui domini la sfera dell'amicizia e il colloquio diretto. Egli non vuole dunque incidere sulla realtà storica, tanto meno esercitare il dominio politico-monda­no, con la sua azione mira a qualcosa di più grande: alla cultura fatta dai migliori.

24. Essenza di questa società ristretta di uomini è la cultura intesa come vita vivente (PEAC 140). Il Simposio platonico è l'emblema di ciò che Colli intende: l'incontro di uomini eccellenti «uniti non da una attività comune, ma da una qualità dell'ani­ma: la grandezza» (PEAC 25), che dialogano su un problema a proposito del quale ognuno dice ciò che ha sentito nella propria interiorità. 
25. Mentre da più parti ci insegnano a «dare via il nostro cuore allo Stato, al guadagno, alla vita socia­le o alla scienza soltanto per non possederlo più» (SE 405), Colli con la sua azione ha cercato di suscitare «una concreta vita filosofica associata» (RE 88). Poiché nonostante l'ottundimento, la pi­grizia e i narcotizzanti miti del mondo moderno, egli percepisce nel presente una certa vitalità e quindi «la possibilità della chiarezza» (RE 116). Non ci sono dogmi da rispettare, tuttavia una «cer­chia di doveri» si imporranno naturalmente a chi avrà compreso la sua azione. A dispetto dei seguaci del divenire Colli ci insegna che il ritorno alla sapienza è ancora possibile: «ciò che alcuni uomini possono pensare e dire l'uno all'altro può vivere anche adesso - poco contano i mutamenti delle società e degli Stati» (DN 82).
26. Come Nietzsche, Colli mira alla vita e non a una conoscenza erudita. Tuttavia, mentre l'azione di Nietzsche è dionisiaca, in quanto penetra nell'indi­viduo per scuoterlo e liberarlo, quella di Colli è apollinea, indiretta, «colpisce da lontano». In que­sta occasione i suoi dardi sono gli autori classici, ottimi per lanciare una sfida «a chi ha ancora qualcosa da decidere, sulla sua vita e sul suo atteg­giamento di fronte alla cultura» (PEAC 139). A costoro Colli offre gli individui della grandezza, i casi più puri, gli archetipi umani per conoscere qualcosa sul conto della vita (RE 122). 
27. Sapere che sono realmente esistiti, sentire ac­canto a se i grandi del passato e nelle loro parole trovare la conferma alle proprie intuizioni, è un'esperienza decisiva per una nobile e giovane anima. Il sentimento che accompagna questo in­contro è un insieme di felicità, di consolazione, di speranza, di liberazione. E' una catarsi, che nei migliori con gli anni perdura e si intensifica fino al punto che diventa impossibile vivere senza venera­re coloro che hanno saputo ricondurre all'interiori­tà. 

Nessun commento:

Posta un commento