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sabato 20 dicembre 2014
sabato 4 ottobre 2014
testo completo di "Colli come educatore"
http://www.giorgiocolli.it/sites/default/files/Colli%20come%20educatore.pdf
martedì 29 luglio 2014
Il giovane Colli
Anche
il giovane Colli si presenta a noi come un educatore, proprio nel
momento in cui lo troviamo teso ad educare se stesso attraverso lo
studio dei grandi del passato, anzitutto i Presocratici e tra i
moderni soprattutto Schopenhauer e Nietzsche. Poiché per lui
penetrare nell'interiorità di quegli uomini eccezionali
(attraverso le loro opere) significa scegliersi il modo più
alto di esistere, crearsi un intimo modo di essere perfetto nella
vita (AD 29-30).
Dunque
sin da subito Colli ha scelto la grandezza come cifra della propria
vita (AD 51). E conoscendo la coerenza di cui Colli ha dato prova,
non ci stupisce trovare già anticipata nei suoi scritti
giovanili quella perfetta fusione dell'aspetto
metafisico-gnoseologico e morale (AD 28) che egli realizzerà
negli anni della maturità.
Apollineo
e dionisiaco (AD) è
importante non solo perché possiamo vedere nel giovane Colli
già presente quella volontà di dominare le cose con la
conoscenza della loro essenza (AD 29), è importante anche
perché contiene numerosi riferimenti ad artisti moderni
(Pollaiolo, Leonardo, Piero della Francesca, Michelangelo) che non
saranno più menzionati nelle opere successive; tranne un
generico ma importante riferimento alla pittura del Rinascimento
(Dopo Nietzsche 150).
Ma Apollineo e dionisiaco è
utilissimo soprattutto per cogliere qualche differenza tra l'estetica
del periodo giovanile e l'estetica della maturità.
In
questo scritto giovanile (1938-1940) Colli si confronta
principalmente con Schopenhauer e Nietzsche, che considera le ultime
tempre filosofiche, gli unici che nel mondo moderno non usurpano il
titolo di filosofo.
A
differenza di Schopenhauer, Colli non pensa di stabilire un sistema
delle arti. Come è noto Schopenhauer nel terzo libro del Mondo
come volontà e rappresentazione
pone una diferenza tra la musica, che esprimerebbe direttamente la
volontà e le arti figurative, che hanno per oggetto le idee
platoniche (espresse secondo un ordine gerarchico, che dal grado più
infimo, l'architettura, arriva al grado più elevato, la
tragedia). Dal confronto con Schopenhauer Colli invece matura la sua
visione del mondo, in cui la fondamentale opposizione tra noumeno e
fenomeno viene ripensata nei termini di interiorità
(che assume valore di cosa in
sé) ed espressione (cioè
la rappresentazione).
Alla
luce di questa visione, Colli ripensa la distinzione tra apollineo e
dionisiaco posta da Niezsche nella Nascita della tragedia.
E dice in modo esplicito che la contrapposizione tra il carattere
apollineo e il carattere dionisiaco è il criterio fondamentale
per qualsiasi interpretazione estetica (AD 57).
Tutto
il fenomeno artistico grazie a questa distinzione porta a una sua
differente valutazione, per cui al dionisiaco tocca indubbiamente una
dignità superiore rispetto all'apollineo. E difatti senza
tener conto della differenza tra i generi artistici - cioè
musica da una parte e scultura ed epica dall'altra, come aveva fatto
Nietzsche – Colli stabilisce la differenza tra arte sovrumana
(dionisiaca) e arte umana (apollinea).
Chiariamo
questi due concetti. Il dionisiaco individuale (e non collettivo –
grande errore della Geburt, secondo
Colli: AD 63) viene definito come “interiorità pura,
sentimento e volontà denudati da immagini” (AD 111). Per cui
processo creativo dell'opera d'arte avverrebbe secondo questi
termini: il vero cretore dionisiaco parte dalla propria interiorità,
senza stimoli esterni e senza l'impressione di cose particolari, e
quando la sua solitudine trabocca di vissutezza e sente il bisogno di
comunicare con gli altri uomini cerca affannosamente simboli visivi
che espriamano il suo interno (AD 119, 129).
L'apollineo
invece è espressione, la sua natura è sin dall'inizio
condizionata e nella sua essenza è inferiore e dipendente dal
dionisiaco (AD 79), per cui gli aritsti umani (Omero, Dante,
Shakespeare, Verdi) si muovono nell'ambito della rappresentazione,
creano cioè attraverso l'umano. Nel loro stato sognante,
contemplativo, partono da una immagine creata spontaneamente o da una
sensazione o da un'esperienza personale e questa immagine, che ha
dato luogo al loro sentimento, è quella stessa che poi viene
trasformata artisticamente.
Nelle
opere della maturità la distinzione tra arte umana e arte
sovrumana non compare. Forse ne rimane una traccia nell'aforisma
intitolato “Nebbia e sole” (Dopo Nietzsche
179), in cui Colli distingue un mistcismo mediterraneo, visionario,
da un misticismo nordico, che rifugge dall'apparenza sensibile.
Questo
mutamento è dovuto molto probabilmente al nuovo significato
che viene ad assumere a Apollo in seguito alla sua geniale
ricostruzione delle origini della sapienza. Anzi, ne La
nascita della filosofia la
preminenza è data ora ad Apollo, tant'è che qui
l'estasi misterica dionisiaca veine considerata “il presuposto
della conoscenza, anziché conoscenza stessa”, di cui invece
Apollo è signore (NF 15-17).
Negli
scritti della maturità, e ci riferiamo soprattutto al capitolo
“Arte è ascetismo” dell'opera Dopo Nietzsche, la
distinzione tra arte umana e arte sovrumana non viene ripresa, e si
può dire quindi – parafrasando una celebre opera di estetica
del Settecento – che qui le belle arti sono ricondotte a
un unico principio: il
dionisiaco soltanto.
In
tutti i casi, per concludere, al di là dei generi espressivi e
delle variazioni dovute all'approfondimento delle due divinità
greche, ci sembra di poter dire che viene riconfermato il pensiero
fondamentale maturato negli anni giovanili: l'arte deve avere un
valore metafisico. La rappresentazione deve essere vista in relazione
a un fondo dionisiaco. Questo è l'unico metro per scoprire la
grande arte (La ragione errabonda fr.
505, 179).
Data
questa severa concezione estetica, non stupisce l'assenza, sia negli
scritti giovanili sia nelle opere delle maturità, di un
qualche riferimento all'arte contemporanea. Anzi, in un frammento dei
suoi “Quaderni postumi”, in cui Colli critica i sistemi
filosofici contemporanei, che secondo lui nascono dalla loro smania
di mostrarsi originali e dalla inconfesata incapacità di
tenere il passo con i grandi del passato, li paragona a tutte le
rivolte anti-tradizionaliste dell'arte figurativa più recente
(La ragione errabonda fr.92).
Un'estetica
impegantiva quella di Colli, che meriterebbe di essere onorata da
qualche artista che volesse assumerla come poietica
o da qualche filosofo che volesse seguirne i suggerimenti e i criteri
per una critica d'arte.
[testo preparato per la presentazione degli Atti]
domenica 18 maggio 2014
Nietzsche e Colli
Prima parte di un seminario di approfondimento a scuola
Anzitutto
c'è tra i due un rapporto editoriale:
le
Opere di Nietzsche sono state
pubblicate in Italia (e nella stessa Germania) secondo il testo
critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Quest'ultimo
è stato allievo di Colli al Liceo “Machiavelli”di Lucca e
poi amico e collaboratore di Colli.
Montinari
essendo diventato un germanista (e pure iscritto al partito
comunista) ebbe modo di accedere all'Archivio Nietzsche di Weimar
(Archivio Goethe-Schiller), che si trovava nella Repubblica
Democrarica Tedesca, e attraverso un lungo lavoro, a partire dal
1961, esaminando i quaderni del filosofo, confrontati con le opere
pubblicate, stabilisce insieme a Colli il testo critico delle Opere
di Nietzsche.
Le
traduzioni, oltre a quelle di Colli e Montinari, sono di Sossio
Giametta, Ferruccio Masini e altri. Mazzino Montinari svolse in
Germania un grande lavoro, tuttavia nel rifare la “preistoria”
della loro edizione scrisse che senza Colli l'edizione delle Opere
non ci sarebbe stata (Su
Nietzsche, Roma 1981,
pp. 3-13).
Colli
è noto ai più per essere stato il “curatore” delle
opere di Nietzsche. Ma chi si trova a fare i conti con N. si accorge
presto che Colli non è un semplice curatore delle sue opere,
ma un discepolo che è diventato filosofo perché ha
saputo imparare e ha voluto imparare dal maestro.
Dopo
Nietzsche: “Come si diventa un filosofo. Scegliere per
tempo i propri maestri (il fiuto dev'essere innato) – purché
siano pochi. Stringerli, spremerli, sviscerarli, tormentarli,
sminuzzarli e rimetterli insieme, senza subire la lusinga della
polimatia. Minatore fedele alla sua caverna: è la faccia
oscura del filosofo. Schopenhauer ha conosciuto questa ricetta:
Nietzsche no, ma ha saputo scavare Schopenhauer” (p. 26).
Di
questa venerazione Nietzsche diede prova nella inattuale Schopenhauer
come educatore. Colli ripete con Nietzsche la stessa esperienza,
ma sul maestro non scrive nessun saggio, egli invece lo lascia
parlare senza edificare alcuna interpretazione e senza intermediari,
cerca di comprenderlo insomma nella sua totalità e non secondo
frammenti casuali o suggestivi. Non è il caso, secondo lui, di
interpretare le parole di Nietzsche ma di riprodurle secondo l'ordine
in cui si sono manifestate.
Dopo
Nietzsche (1974) è un
libro che parla di Nietzsce ma non è un libro su Nietzsche.
Voi
sapete certamente che storicamente non esiste un pensatore più
mal trattato di Nietzsche. La sua personalità e
il suo pensiero hanno dovuto sopportare la curiosità degli
animi più volgari e soddisfare il gusto degli interpreti più
corrotti.
Spesso
le sue parole sono state utilizzate per sostenere gli scopi più
esacrabili. Gli è toccato di essere bandito per le
allucinazioni di animi patologicamente deviati.
Leggo
un aforisma di Colli dal titolo Citazioni
proibite. “Un
falsario è chi interpreta Nietzsche utilizzando le sue
citazioni, perché gli farà dire tutto quello che vorrà
lui, aggeggiando a suo piacimento parole e frasi auetentiche. Nella
miniera di questo pensatore è contenuto ogni metallo:
Nietzsche ha detto tutto e il contrario di tutto. E in generale è
disonesto servirsi delle citazioni di Nietzsche parlando di lui,
poiché così di dà valore alle proprie parole con
la suggestione che suscita l'introduzione delle sue” (Dopo
Nietzsche, p. 196).
Quindi
secondo Colli parlare delle sue idee è inutile, perché
nessuno può parlare meglio di quanto abbia fatto lui;
Nietzsche è come la musica: agisce in profondità, tocca
il tessuto immediato della vita, le sue parole arrivano prima
all'animo che alla ragione. In molti oggi credono di aver capito N.
ma il vero capire è fare qualcosa nella direzione che egli ha
indicato. E Colli lo ha fatto (gli studi sulla Sapienza, e il
progetto editoriale presso la casa editrice Boringhieri con
l'Enciclopedia degli Aurori Classici).
Solo
in Colli, ci pare, troviamo rispettata la sua grandezza, poiché
solo chi ha imparato veramente può essere mosso da un profondo
senso di venerazione e gratitudine. E Colli il suo debito di
riconoscenza lo paga con l'impegno profuso nella fedele edizione
delle Opere.
Colli
propose a se stesso questo complesso e esaltante enigma di nome
Nietzsche perché poteva e voleva
comprendere. Perché è un filosofo.
Un
rapporto profondo gli consente di cogliere in lui - al di là
delle maschere, delle commedie e delle polemiche del momento, che
Nietzsche assume spesso - un sottofondo immutabile, un atteggiamento
fondamentale che è della grande filosofia: il distacco dagli
interessi sociali e politici e il tentativo di cogliere e affermare i
valori essenziali della vita.
Capire
Nietzsche veramente significa scartare la tracotanza con cui egli
ha aggredito la realtà circostante.
Imparare
da Nietzsche per Colli significa pure trattare il maestro con la
stessa severità e giustizia con
cui questi ha giudicato gli altri. Per cui non dobbiamo perdonare a
N. le sue debolezze, ciò significa aver imparato da lui.
Ben
inteso, per Colli Nietzsche è anzitutto più filosofo di
ogni altro filosofo moderno, se per filosofia si intende una
concezione totale della vita, più intuitiva che logica.
Tuttavia Colli sottolinea alcune lacune di Nietzsche proprio come
filosofo:
- la mancanzza di disciplina filosofica o l'acerbità teoretica; mancanza di capacità deduttiva, l'incertezza e l'incostanza nelle sue argomentazioni ...
- N. non sa dimostrare ma sa cogliere la verità; con tutti i proclami sulla libertà di spirito, N. non sa dire quando e perché una conoscenza è vera o falsa;
- è ignorante per quanto riguarda la storia della filosofia; a volte per dispetto a Schopenhauer elogia Hegel (assorbe la grande menzogna tedesca connaturata alla lingua: Werden – divenire);
- non distingue da Kant da Hegel;
- per certe cose è affine a Spinoza ma lo conosce attraverso una esposizione manualistica; e anche per i Greci spesso le sue fonti biografiche e dossografiche sono tarde;
- gli unici filosofi che ha letto direttamente sono Platone e Schopenhauer, ma del primo non ha affrontato tereticamente la dottrina delle idee, limitandosi a discutere questioni morali, politiche o estetiche; del secondo ha letto più i Parerga che il Mondo, mentre gli è estraneo il chiaro impianto della Quadruplice;
- storicamente N. rimane immerso nell' irrazionalismo del secolo ma non è stato lui a scatenarlo, anzi lo è meno di tutti, sino a che si rivolge ai Greci e a Schopenhauer, però non affronta il problema della razionalità, non critica la ragione, l'adopera come a arma distruttiva e crede in essa; N. è assertore della ragione fino ad abbassarsi alla volgarità positivista; il suo scetticismo insomma non è estremistico;
- spesso si serve più della psicologia che della logica, ma senza rigore scientifico, usandola come strumento letterario e suggestivo:
- N. è un filosofo a metà, anche se le sue doti intuitive sono filosofiche e non artistiche, nel senso che coglie l'universale e non si ferma al particolare;
- N. scrive troppo: non ha saputo dosare le proprie energie, si è bruciato troppo presto, sopraffatto dall'ebbrezza dionisiaca; egli fu un autentico homo scribens; lui che fu un dissacratore, non ha saputo dissacrare l'attività di scrittore; che senso ha parlare della follia, del dionisiaco, parlare contro ogni astrazione e poi consumare la vita nello scrivere, nella commedia, nella non vita;
- e in effetti N. visse come un asceta (l'impulso egoistico ad affermarsi contro gli altri, l'ira, l'invidia e le altre passioni non sono testimoniate in ciò che conosciamo della sua vita; anche Zarathstra è un asceta;
- N. parla troppo di sé, si mette a nudo...
- si occupa dell'attualità, lui che che si coinsiderava un filosofo zeitlos (senza tempo); N. è l'antipolitico per eccellenza e se interviene nella mondanità lo fa per vanità, per la sua presunzione a vederci meglio degli altri... qui però i risultati di pensiero sono di rango inferiore; l'attuale in N. è l'aspetto meno rilevante del suo pensiero;
- ricerca a tutti i costi dell'originalità, tipico vizio della modernità, che lo porta ad affermare il paradossale;
- modesti sono certi suoi bersagli polemici (Strauss);
- ha distrutto la Germania come mito culturale, ma per polemica contro i tedeschi ha elogiato i francesi, spesso personaggi di scarsa importanza;
Questi
attacchi di Colli non devono ingannare, non sono una interpretazione.
Nietzsche è il solo
contro cui abbiano senso gli attacchi. Per poterlo fare bisognava
porsi al suo livello, e Colli lo ha fatto.
Molto
severa è la critica è la critica alle deviazioni
dell'immagine dell'uomo integro, che Nietzsche stesso ha proposto nei
suoi scritti; quando Nietzsche dimentica il suo essere aristocratico,
antico, per presenarsi invece con i vizi tipici della modernità.
Per comprendere ancora meglio il giudizio di Colli conviene leggere
questo aforisma Il modello dell'integrità (in Dopo
Nietzsche, pp. 199-201): “L'uomo moderno è spezzato,
frammentario. Una vita integra gli è preclusa, qualòunque
sia il paese in cui vive, l'educazione che ha ricevuto, la classe
sociale cui appartiene. Egli avverte come una fatalità questa
frattura, irrimediabile, sin dal principio, se ha la capacità
di avvertirla. L'individuo e la collettività si sono
allontanati con il trascorrere dei secoli, lungo cammini divergenti,
e continuano perciò ad allontanarsi. Ciò che la
collettività si attende dall'individuo, presuppone in lui, è
sempre diverso da quello che egli scopre in se stesso come autentico,
sorgivo. E chi è qualcosa di più che una formica, chi
vuol lasciare dietro di sé una traccia durevole tra le
apparenze, il suo strascico, di cometa o di lumaca, viene frantumato
dal mondo umano, non dalla sua ostilità, ma semplicemente
dalla sua estraneità, dalle sue regole, dai suoi
comportamenti, dalle sue consuetudini. Nella collettività
l'espressione dell'individuo non riecheggia, non rifulge più,
è perduta l'armonia del mondo antico.
Negli
ultimi due secoli l'apparizione di una grande personalità si
accompagna al quadro di un'esistenza tragica, quando non intervenga
un temperamento accomodante o vile a preservare l'iindividuo. La
lista sarebbe lunga. Nietzsche è un esempio clamoroso,
emblematico, di questo destino. Ed eccezionale è il suo
pudore, la lotta temeraria, disperata, di chi si sente destinato a
soccombere, eppure tenta di mascherare la sua sorte. Nietzsche vuole
una vita integra, e vuole mostrarsi come integro. In questo è
“antico”: giudica degradante rivelare, esibire la vita spezzata
come tale, e non permette a nessuno di pensare che l'esistenza di chi
parla al mondo, come fa lui, nasconda un fallimento. Qundo la
dilacerazione nondimeno erompe, Nietzsche sa presentare l'effusione,
la rottura degli argini, come menzogna poetica. Ma questa maschera
della pienezza, la commedia dell'integrita, è insostenibile,
favorisce il compimento di ciò che vuole celare, la
dissoluzione della persona.
Cosa
importa d'altronde se quell'integrità che lui proclmava non si
è realizzata nell'uomo Nietzsche? E certo la curiosità
pettegola dei nostri contemporanei, che si è gettata
avidamente sulla disgregazione dell'uomo, non è riuscita a
sminuire per nulla l'espressione di questo individuo, ciò che
lui mise fuori di sé, sopra di sé. Poiché, in un
mondo che stritola l'individuo, Nietzsche è stato capace di
farci cedere l'individuo non piegato dal mondo. Questo risultato lo
raggiunge in un'epoca che si è compiaciuta – e il
compiaciento oggi è anche più forte – di mostrare la
vita spezzata, l'individuo fallito. Se la persona di Nietzsche è
stata infranta, ciò non dimostra nulla contro di lui. In
cambio egli ci ha lasciato un'immagine diversa dell'uomo, ed è
con questa che dobbiamo misurarci noi”.
Valeva
la pena di riportare per esteso quest'aforisma; non solo per
sottolineare l'eroismo nietzscheano, ma anche per la riflessione sul
mondo che esso contiene.
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